Ad un certo punto del mio percorso di pratica, mi sembrò di comprendere meglio il Metodo attraverso la metafora della musica.
Era un giorno di studio del training di formazione per diventare insegnanti. Martina ed io stavamo per eseguire un movimento/manovra classico, uno di quei movimenti integrativi, il rotolamento della testa, che Feldenkrais considerò centrale nello sviluppo dell’Integrazione Funzionale, la seduta individuale dell’allievo con l’insegnante.
Per quella sessione di studio, io facevo l’allieva, Martina l’insegnante. Sulla mia fronte, la sua mano gentile mi parlò chiaramente, facendomi desiderare di affidarmi a lei in modo sincero, totale: compresi in quel momento che potevo ‘farmi suonare’, in un certo senso. E sentendomi strumento, pensai ad uno strumento eccellente (perché no!), ossia qualsiasi cosa in grado di tradurre al meglio le sue intenzioni. Nelle mani di Martina, il mio corpo si preparava fiducioso a dispiegare una qualche musica: arcaica, inedita, profondamente mia. E così fu, infatti.
Mentre la mia testa rotolava sotto la sua mano gentilmente estesa e in contatto, toccando via via un punto diverso del palmo, lasciai che ogni mia vertebra ‘si srotolasse’, per così dire, al pavimento: le cervicali, poi le vertebre dorsali, le lombari, il sacro. Ricordo come il bacino planasse morbidamente al suolo, accolto dal materassino sottostante; i due lati del bacino, in momenti che a me parvero lunghissimi, trovarono infine il loro assetto inedito in quel momento [… la sorpresa/scandalo di una postura inedita quanto ovvia… uno dei tanti punti di arrivo/partenza che scandiscono il cammino di questo meraviglioso percorso di conoscenza di sé].
Ragionando sulle dinamiche dell’Integrazione Funzionale, provo a descrivere quanto segue: 1. L’insegnante (soggetto), proprio come l’allievo (oggetto) si muove eseguendo una sequenza di movimenti unica, sebbene profondamente legata a quel particolare momento (i movimenti dell’uno corrispondono a movimenti di risposta dell’altro). 2. Allo stesso tempo, entrambi si comportano come strumenti l’uno dell’altro: l’insegnante suona il corpo dell’allievo, ma al contempo è suonato dall’allievo. Infatti, di momento in momento, il primo sceglie quali movimenti in consapevolezza proporre al secondo, in relazione a ciò che intuisce. 3. Entrambi, pertanto, si comportano come interpreti della partitura altrui.
Soggetto e oggetto, strumento e suonatore si fondono dunque nell’Integrazione Funzionale, diventano una cosa unica… perché “attraverso il contatto due persone possono diventare un nuovo insieme, una nuova entità” [Introduzione, ‘Le basi del Metodo’, Moshe Feldenkrais] .
Una cosa simile accade al maestro di campana durante la meditazione: il meditante si predispone al contatto con lo strumento, con l’intenzione di ‘influenzarla’, di risvegliarla… Chiede al suono della campana di poter raggiungere il proprio vero sé, e quello dei compagni attorno. Poi, prende il batacchio, respira e suona… Se ha ben meditato fino ad allora – il che vuole dire che è entrato in contatto con ciò che c’è – sentirà in modo chiaro, per tutta la lunghezza del suono, il contatto con il vero sé… [In definitiva, accade proprio ciò che si era sperato: attraverso il contatto, si risveglia la campana… si risveglia il meditante!].
Questo contatto di fusione tra soggetto e oggetto – che, per me, è il senso stesso della ricerca artistica – dà sensazioni uniche al mondo. Sensazioni di armonia e unità che, a dispetto di quanto difficili da raccontare o spiegare – … chiedete pure se non capite! – sono concretamente, e sovente, a nostra disposizione. (Elisa Bigotti)